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Reportage da una corsa di cavalli

Uno dei più famosi ippodromi d’Italia nonché uno dei più grandi d’Europa ha chiuso nel 2013. Stiamo parlando naturalmente dell’ippodromo di Tor di Valle di Roma, fiore all’occhiello per anni dell’ippica nostrana, fondato nel lontano 1959. Ma nella capitale c’è un altro ippodromo ancora più antico che sopravvive e resiste nonostante i fondi tagliati, l’avvento delle scommesse elettroniche e codice bonus, l’incompetenza della politica e gli innumerevoli errori di una categoria in contrasto perenne. Questo baluardo delle corse dei cavalli è l’Ippodromo di Capannelle, un’isola senza tempo in cui fare un salto nel passato e ritrovarsi negli anni ‘70 per sentirsi un po’ dentro Febbre da Cavallo un po’ dentro Romanzo Criminale.

In realtà qualche differenza c’è, perché Capannelle tutto sommato è una bella struttura, tenuta come si deve, con il prato ben tagliato, le siepi perfette e i recinti bianchissimi. Non è un caso che sia un ippodromo di origini aristocratiche e a suo tempo fosse frequentato anche da Re Umberto I. Il quadro è poi completato dalla collocazione geografica se ci si rende conto di avere davanti i ruderi dell’Acquedotto Claudio e della villa consolare di Lucrezia Romana, mentre dietro alle piste si ergono i Colli Albani e le montagne d’Abruzzo.

Arriviamo all’ippodromo dopo pranzo, parcheggiamo nel comodo parcheggio gratuito all’esterno e facciamo il biglietto (nei giorni feriali l’ingresso è gratuito). Un neofita potrebbe pensare che la prima esperienza alle corse dei cavalli risulterà confusionaria, caotica, che ci voglia del tempo anche solo per capire dove andare a piazzare una puntata, e chi c’è in gara, e tra quanto partono. Nulla di tutto ciò, basta uno sguardo ai mille schermi piazzati in ogni angolo per avere un’idea più o meno chiara di quello che sta succedendo. Si guardano le percentuali, si legge un po’ il giornale delle novità, si sceglie un nome che suona simpatico, e si va a piazzare una bella scommessa. Nell’attesa si prende una birra, ci si accomoda sugli spalti e, questo mi raccomando non può mancare, si origliano le conversazioni degli assidui frequentatori che commentano l’andamento generale, le giocate di uno e le condizioni fisiche di un altro. Più che interessante per l’ippica è interessante da un punto di vista antropologico: qui si possono ancora ammirare alcune tipologie di romani più veraci, quelli in via d’estinzione.

Poi parte la prima corsa e improvvisamente diventa tutto chiaro. Improvvisamente si prova quella stessa adrenalina che ha inchiodato migliaia di persone all’ippodromo per anni. E non si vede l’ora di piazzare la prossima scommessa, sia che abbiamo vinto sia che abbiamo perso, poco importa. E da quel momento in poi il pomeriggio passa di corsa, ci si confonde in questa folla di intenditori appassionati con la febbre da cavallo e si piazza una giocata dopo l’altra. Quando poi arriva il momento di andarsene l’eccitazione passa e si ha ben chiaro in testa il tranello del gioco d’azzardo e quant’è facile caderci se non si sta attenti. Oggi ci siamo divertiti, qualche soldo l’abbiamo perso ma è stata un’esperienza, un salto nel passato che forse, prima o poi, rifaremo. Ma forse anche no.